Dopo una ricerca teorico-pratica in un casolare dismesso, Harry Baldissera fonda la Paciù Maison, uno studio artistico e luogo di progettazione culturale ispirato al concetto di “rizoma” (Deleuze-Guattari): un sistema acentrico dove ogni punto si collega a qualsiasi altro, senza rimandare necessariamente a tratti dello stesso genere. Pittore, scultore, scenografo e designer, Baldissera sperimenta con tecniche miste, tra cui l’uso distintivo del tessuto-gesso. Le sue opere incarnano spesso il concetto di “palinsesto” di Gérard Genette, rappresentando la trasformazione e reinterpretazione di idee originarie, mutandone le forme ma preservandone l’essenza.
La Maison, nata nel 2017 dalla ristrutturazione di un casolare diroccato, è molto più di una casa-museo: rappresenta una nuova concezione di spazio abitativo e artistico. Diversamente dai suoi progetti precedenti, Baldissera ha scelto di lavorare in totale autonomia, curando personalmente ogni dettaglio – dalla pittura alla scultura, dai pavimenti alle pareti. Questo luogo si configura come un viaggio tematico, un’ opera in costante trasformazione che sfida le convenzioni artistiche e invita i visitatori a vivere l’arte in modo partecipativo.
Ogni angolo della Paciù Maison diventa un’esperienza immersiva e personale, dove l’arte si fonde con la scoperta di sé, in un continuo dialogo tra passato e presente, tra memoria e oblio.
1- Da dove è nata l’idea per la fondazione di Paciu Maison? Qual è lo scopo di questa iniziativa?
Ciò che risiede alla fondazione di Paciu Maison è la ricerca nell’arte contemporanea, l’idea di poter indagare sul mondo circostante attraverso l’attuale “occhio dell’arte”. Cardinale è stata la scelta di espandere i confini di residenza artistica, fino alla realizzazione e al superamento dell’ “opera d’arte abitabile”. La Maison è infatti arte e luogo di produzione artistica.
2- Come si svolge l’attività di ricerca ?
Questo tipo di iniziativa ricorda l’importanza dello scambio interpersonale. L’arte è lo “scambio” più grande, la condivisione più “pesante”che grava sia sull’artista che sullo spettatore. L’arte offre analisi, narrazione, sentimento: ciò produce coinvolgimento, lo “scambio” per eccellenza. In una epoca come la nostra, che si fonda sull’individualismo e sulle dipendenze, lo “scambio” è la strada per ottenere la libertà. L’attività di ricerca pone le sue basi sulla progettazione e la promozione di eventi, mostre, performance d’arte, incentrando il lavoro sullo scambio tra opera e spettatore.
3- Nella sede di Paciu Maison l’approccio con l’arte può essere interpretato come prettamente istintivo. Come controbattere a questa sentenza?
L’approccio istintivo comporta una “attesa”. La parte istintiva si manifesta nel sentimento, nella ricerca dell’irrazionale: è uno “sfogo”, energia che diventa opera, motore che spinge l’artista. Ciò comporta tempo, perché l’istinto si rivela in esplosioni incontrollabili. L’esecuzione istintiva di una opera d’arte è dovuta all’essenza del suo esecutore ed il risultato è inaspettato. La connessione che si crea tra opera e spettatore fa così riferimento alle fondamenta primitive dell’essere umano.
4 – Come si collegano le stanze di Paciu Maison con le tue esperienze di vita?
Le stanze di Paciu Maison si collegano seguendo due livelli: il livello pratico e quello emotivo. Il livello pratico si fonde con la scelta dei materiali; nella maggioranza delle stanze prevale il senso del movimento, il senso del tempo che scorre. Il livello emotivo si collega alle “esplosioni” di cui ho parlato precedentemente. Da ogni esplosione, come da un vulcano, fuoriesce materiale “magmatico” che prende forma nell’arte, in assenza di ordine cronologico. Le stanze vengono trascritte in una mappatura di sentimenti: Paciu Maison diventa una “cartografia” dell’anima.
5 – Paciu Maison dimostra grande flessibilità e adattamento, d’altronde alla base della tua creatività vi è l’arte del “re-made” e del riuso. Mediante quale processo gli oggetti quotidiani di Paciu Maison prendono vita nell’arte?
Il ready-made potrebbe essere spontaneo qualora non si abbia la possibilità di comprare o avere i materiali. Non significa semplicemente camminare sulle orme di Duchamp: è una necessità dettata dalla praticità e dalla ricerca di un legame con ciò che utilizzo. L’idea è quella di creare oro senza il minerale effettivo: l’opera d’arte si arricchisce senza usufruire della ricchezza dei materiali. Lo scopo è creare “arte funzionale” perseguendo lo stile dell’arte povera, sensibilizzando lo spettatore sul tema del consumo.
6- Paciu Maison è “politica-sociale”, prima che “individuale-personale”, o è possibile che abbracci entrambe le visioni?
Paciu Maison abbraccia entrambe le visioni, infatti lavora a 360 gradi. La sua riflessione è un’indagine sul tempo, la società in cui viviamo e le persone che vi collaborano. Il nostro lavoro è un processo di formazione continua, un percorso che sfida lo schema del luogo comune e dell’abitudine, sia come gruppo che come singoli individui.
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VUOI LEGGERE DI PIU’? ECCO UN ESTRATTO SCRITTO DALL’ART DIRECTOR HARRY BALDISSERA
E’ possibile ammirare, interagire, vivere e creare un’opera d’arte transculturale e abitale… Nella quale lo spettatore diventa attore e fruitore di un nuovo patrimonio culturale? Paciu Maison, dimora d’arte e spazio culturale, è ricerca nell’arte contemporanea. “Il viaggio” si esplica nella creazione di uno spazio dove l’arte viene reinterpreta ed amplificata, con l’dea di poter indagare sul mondo circostante attraverso l“occhio dell’arte”, espandendo i confini di residenza artistica, fino alla realizzazione e al superamento dell’ “opera d’arte abitabile”.
Le stanze, visivamente e concettualmente molto diverse, proiettano lo spettatore in un viaggio di emozioni e sensazioni, a volte contrastanti, che offrono la possibilità di riconnettersi e riscoprire il proprio mondo interiore attraverso l’esplorazione della dimora. Entrare fisicamente nel quadro, rendere viva l’arte vivendola; scrivere sulle pareti per riscrivere la memoria dello spazio; e mettere in questione il pubblico e il privato.
L’edificio perde la sua iniziale realtà materiale per acquistare una nuova dimensione culturale: lo spazio quotidiano si trasforma in Arte Abitabile.
Si sviluppano due concetti principali: l’idea di “palinsesto” (G. Genette) e di “rizoma” (Deleuze – Guattari).
Attraverso lo straniamento dell’oggetto quotidiano, si valorizza il concetto di “oggetto morto” di Tadeusz Kantor nel suo “teatro della morte”, mentre, salendo le scale intraprendiamo un viaggio nel tempo mediante la fotografia.
E’ un percorso tra presente e passato, che ci ricorda di essere stranieri anche e soprattutto in noi stessi. Il concetto di normalità è messo in questione attraverso il volume ed il colore, analizzandolo attraverso lo sguardo del “bambino”, l’unico in grado a percepirne l’essenza.
L’ infanzia è vista come una possibile via d’uscita dagli schemi sociali, che tendono a scindere l’umano in varie parti senza valorizzarne la diversità. La non accettazione del diverso è la malattia del nostro tempo. (“Il normale e il patologico” di Canguilhelm).
Pur mantenendo la propria funzionalità, le stanze diventano quadri mancanti di cornice, semplificando il legame tra arte e vita in un virtuoso gioco di riflessi: la vita quotidiana si riflette nell’arte così come questa si riflette a sua volta nella prima. Si perde lentamente il rapporto tra finzione e realtà, lasciando lo spettatore nell’incertezza: dove finisce la prima e dove comincia la seconda? L’opera, in costante divenire, è infatti l’anima stessa; entrando dalla “porta di ingresso” si viene immersi in un mondo interiore e intimo, che ci permette di ricostruire ed ampliare una nuova visione. Arte che porta ad un impatto sociale di cambiamento ed esplorazione del nuovo pur mantenendo un’identità storica.
Cardine è stata la scelta di espandere i confini di residenza artistica fino alla realizzazione e al superamento dell’ “opera d’arte abitabile”: La Maison è infatti arte e al contempo luogo di produzione artistica. Oltre a laboratori tematici, sono state realizzate mostre d’arte, shooting fotografici, produzioni cinematografiche, teatrali e performative. L’indagine si è modificata e ha portato alla riflessione su una nuova visione di arte transculturale, dove l’osservatore diventa co-partecipante all’opera e modifica in modo mutevole e perpetuo il tempo e la continua ricerca del nuovo.
La casa è dunque un’opera viva. Viene messo in questione il pensiero di Ortega e Gasset: “Il quadro come la poesia o come la musica, come ogni opera d’arte, è un’apertura di irrealtà che avviene magicamente nel nostro ambiente reale. Quando guardo questa grigia parete domestica, la mia attitudine è, per forza, di un utilitarismo vitale. Quando guardo il quadro, entro in un recinto immaginario e adotto un’attitudine di pura contemplazione. Dal reale all’irreale, lo spirito fa un salto, come dalla veglia al sonno”. (Ortega e Gasset, 1995, p.795).”Meditazioni sulla cornice”.In: “Storia dell’estetica. Antologia di testi”.
Harry Baldissera: Un Maestro dell’Invisibile e un Eclettico Viaggiatore dell’Arte
Nel cuore dell’arte contemporanea, Harry Baldissera emerge come una figura enigmatica e affascinante. Art director riconosciuto, si distingue anche come curatore, regista e artista, con una carriera che abbraccia teatro, cinema e arti visive. Fondatore della Paciù Maison, unica opera d’arte abitabile in Italia, ha trasformato questa casa-museo in un dialogo continuo tra arte e vita.
Creativo poliedrico, Baldissera si contraddistingue per un approccio olistico alla direzione artistica, fondendo stili e tecniche diverse. Ha curato progetti di rilievo sia nazionale che internazionale, collaborando con istituzioni culturali, gallerie e artisti affermati e emergenti, contribuendo a iniziative che fondono estetica e impegno sociale.
Grazie alla sua capacità di coniugare arte e pubblico, Baldissera ha portato l’arte in luoghi inusuali come ospedali, spazi aziendali e catene alberghiere, trasformando ambienti ordinari in esperienze straordinarie. Definito un “brillante stratega” e un “alchimista” dell’arte, mescola tecniche e concetti per creare opere che coinvolgono profondamente chi le osserva.
Oltre alla sua carriera artistica, ha guidato l’Art Department nel settore pubblicitario, realizzando campagne visive per marchi prestigiosi e collaborando con agenzie come Max Information, Ad Store, Maclen (Edimburgo) e Joy Films (Dubai). Questa esperienza ha affinato la sua sensibilità visiva, rendendo ogni creazione un potente veicolo di comunicazione.
“L’arte è un viaggio condiviso, un’opportunità per esplorare il mondo attraverso una nuova lente.” — Harry Baldissera
Qualcosa di più su Harry..
Chi è davvero Harry Baldissera? Un artista? Un sognatore? Un alchimista della percezione? Con radici nella Svizzera francese e nel Veneto italiano, la sua identità sfugge alle definizioni. Persino i suoi dati anagrafici sembrano dissolversi nel mistero, e c’è chi sostiene che abbia sapientemente confuso le tracce, perfino presso l’anagrafe. Baldissera non è solo un maestro dell’arte visiva, ma un narratore di storie invisibili, un enigma vivente capace di sfidare le percezioni. Il suo marchio distintivo è la riservatezza: rimanere nell’ombra mentre le sue opere parlano per lui, creando leggende che ne accrescono il fascino. Non fa nomi né rivendica titoli, ma è proprio questa discrezione che lo rende una figura del mondo dell’arte, capace di orchestrare strategie e piani creativi con un’eleganza invisibile.
L’Arte come Strumento di Cambiamento Sociale
Il lavoro di Baldissera va oltre l’estetica: ha portato l’arte in ospedali e spazi pubblici, creando connessioni tra arte e comunità. Progetti come Trova il Dipinto hanno dimostrato la potenza terapeutica dell’arte, migliorando la qualità della vita in contesti di cura. Questo progetto, che ha trasformato un ospedale in un museo fruibile gratuitamente dal pubblico per otto mesi, ha dimostrato che l’arte può davvero cambiare gli spazi e le vite delle persone. Con il suo approccio innovativo, Baldissera ci ricorda che l’arte ha il potere di trasformare non solo gli ambienti, ma anche le persone.
“In un’epoca di globalizzazione, l’arte deve rispecchiare le complessità delle nostre identità e culture.” — Harry Baldissera