Salita sul palco, reciti a meraviglia la tua parte: una prosa pirandelliana in cui bisticci con le “maschere” europee; litigi che equivalgono al momento di massima tensione di questo tragico spettacolo, un climax di prepotenza per dimostrare chi tra tutti odia di più ed è più forte. Maschere di tolleranza e pace, ipocrisia che si nasconde nella retorica. I tuoi spettatori, osservatori silenziosi di una diplomazia improntata sul rifiuto, che sia verso l’extra o il comunitario, non possono che alzare le mani al cielo, in segno di preghiera o di speranzosa attesa.
Ecco chi è il soggetto rappresentato nella foto: quella donna siamo noi, anzi siete voi, italiani di una Italia “per e degli” italiani. Un popolo che vota, ma che, quando il gallo canta, rinnega anche più di tre volte le proprie scelte politiche; un popolo che si dimentica di essere scappato dal proprio territorio; gente del Sud o gente del Nord, non importa più, perché poi è la gente non cattolica, non bianca, e che non mangia tutti i giorni la pasta, ad essere il problema; italiani acclamati per un passato di ricchezza culturale ed artistica, sbeffeggiati per i propri rappresentanti politici corrotti.
Quella donna in ginocchio è la Libertà, la nostra libertà, che si piega alle necessità del Potere, è la Conoscenza che si prostra all’Ignoranza, è l’Amore che si sottomette agli insegnamenti dell’Odio. Nonostante la Storia continui a mantenere la memoria dei precedenti massacri e delle rovinose guerre, c’è chi non cessa di suddividere in razze, cosicché alcuni si possano reputare superiori ad altri. Siamo un’unica razza, siamo tutti esseri umani, eppure tra di noi c’è chi ci divide in categorie, chi è terrone, chi è polentone, chi è immigrato, chi invece è omosessuale, chi è il figlio della speranza di “qualche drogata” con il “ragazzo spacciatore”, chi “lascia” l’Italia per lavorare all’estero, chi è giovane senza esperienza; c’è una categoria per tutti, esiste una sotto-razza per chiunque, anche per i più potenti.
Invece di educare all’amore e alla comprensione, ci insegnano a ringhiare davanti alla novità, per paura che il nuovo possa rubarci il presente.
L’hic et nunc non scompare se qualcosa è differente, esso svanisce se piuttosto non si fa più nulla per essere diversi. In una Europa chiusa, l’italia era una breccia aperta, forse perché ancora non avevamo dimenticato che un tempo erano i nostri avi a resistere alla morte in un viaggio dove la terra ferma era sconosciuta e non mai meno pericolosa del precedente mare aperto. Ci preoccupiamo di sottolineare di essere italiani, ma il tempo ci ha ingannato e non ricordiamo più come era esserlo.
Durante il “governo del cambiamento” siamo cambiati, è vero; siamo tutti più impauriti, più tristi, più lontani gli uni dagli altri. Siamo consumati dall’orgoglio che ci impone di non essere sbeffeggiati dagli altri Stati, perché ancora tra i pochi a braccia aperte verso chi arriva; siamo divorati dall’arroganza che ci ha permesso di smettere di nutrire l’anima e di dimenticare la dignità umana.
Questa foto non vuole offendere nessuno, non è di certo il nostro intento; vogliamo piuttosto far pensare attraverso il sorriso. Questa è satira, l’uso del grottesco è ciò che più ci piace. La vita è paradossale e non c’è mezzo migliore dell’Arte per dimostrarlo. L’Italia stessa è un paradosso, o almeno è così che ci appare: e non potevamo che rappresentarla così, come una donna in abiti funerei prostrata davanti alla politica.
Italia, vedova nera del progresso, chi sei?
A seguire una “lacrima” del passato richiama alla memoria gli italiani che eravamo, nella speranza che riesca a farci meditare riguardo a chi potremmo essere e siamo:
Gli Italiani
L’intelligenza non avrà mai peso, mai
nel giudizio di questa pubblica opinione.
Neppure sul sangue dei lager, tu otterrai
da uno dei milioni d’anime della nostra nazione,
un giudizio netto, interamente indignato:
irreale è ogni idea, irreale ogni passione,
di questo popolo ormai dissociato
da secoli, la cui soave saggezza
gli serve a vivere, non l’ha mai liberato.
Mostrare la mia faccia, la mia magrezza –
alzare la mia sola puerile voce –
non ha più senso: la viltà avvezza
a vedere morire nel modo più atroce
gli altri, nella più strana indifferenza.
Io muoio, ed anche questo mi nuoce.
Pier Paolo Pasolini